Chi era Mast’Antonio, al secolo Antonio Di Prisco? Un artista? Definirlo un artista sarebbe riduttivo, perché lui di arti e mestieri ne conosceva tanti. Per vivere faceva il calzolaio, per amore e per passione invece: scenografo, pittore, puparo, falegname, proiezionista e operatore di cabina cinematografica, cuoco sopraffino, (famosi i suoi panzarotti) eccetera..eccetera..eccetera. Aveva le mani d’oro, ma al contrario di re Mida, lui la materia la trasformava in tutto ciò che voleva. Non c’era oggetto di scena che non riusciva a creare: mast’Anto’ ci serve una cucina a legno anni quaranta, un fucile, un cappello da carabiniere con il “pennacchio”, gli stivali per il can can, le scimitarre per i costumi dei saraceni. Sono le prime cose che mi vengono in mente.
Io e lui avevamo un rapporto diverso all’interno della compagnia, ci volevamo bene, forse perchè avevamo la “capa tosta” tutti e due. Quando qualcuno lo faceva arrabbiare, spariva in un lampo e per giorni interi nessuno riusciva a rintracciarlo. E allora toccava a me rabbonirlo, ma non era necessario, ci incontravamo, si parlava del più e del meno, mai dell’accaduto, e tutto finiva lì.
Voglio raccontarvi qualche aneddoto. A proposito di arrabbiatura, stavamo montando le scene per uno spettacolo all’aperto nella contrada “Pellegrini” di Boscoreale, distante da casa sua almeno tre chilometri. Ebbene, per una tenaglia non passatagli, scappo via così di corsa, a piedi naturalmente, che mentre ci organizzamo per andare a riprenderlo, altrimenti lo spettacolo non si faceva, io con la mia Alfa Sud lo raggiunsi quando già era a casa. Un’altra volta, sempre a proposito di arrabbiatura, qualcuno, volendo fare una battuta di commento ad una finestra ovale costruita per una scena, disse: “mast’Anto’ quanno s’’arape mme pare ‘na caramella”. Apriti cielo, strappo via la finestra, rompendola naturalmente, e scappo via, lo spettacolo fu fatto senza la finestra. Un’ultima cosa voglio ricordare e riguarda la tecnologia. Eravamo al Teatro “Metastasio” di Prato per una rassegna della F.I.T.A. (Federazione Iraliana Teatro Amatori). Un palcoscenico immenso dove le nostre scene coprivano solo un quarto del proscenio. Per evitare che si vedesse tutto dietro le quinte bisognava avvicinare il sipario alla scena. Il buon mast’Antonio prese le sue spille da “paratore” e si accingeva ad accostare il sipario. Una voce dall’alto tuonò in fiorentino: “Oh! che tu fai, fermo lì”, spinse un bottone ed il sipario magicamente si avvicinò da solo alle scene. Mast,Antonio e noi tutti incantati a guardare!
Si dice che quando si invecchia si vive di ricordi. Va bene così.
Antonio Di Concilio
|
![]() |